Rossese bianco. Quanta confusione, anche (o soprattutto) perché la bibliografia non è lunghissima. Ragioniamo sempre pensando che i vitigni siano zeppi di sinonimi, che lo stesso grappolo venga chiamato con nomi differenti in aree geografiche diverse. La granaccia, per esempio, conosciuta come alicante, cannonau, tocai rosso e cento altri nomi, secondo il terroir (ma ci addentreremo un’altra volta).
Inoltre un vero studio del corredo cromosomico del grappolo è di recente impostazione, nonostante la pecora Dolly sia stata clonata nel lontano 1996 (!). Cercare la parentela e soprattutto la provenienza dei vitigni è dunque uno sport recente, ma che già ci fa scoprire congiunti ed incroci inaspettati.
Diffuso in tutta la Liguria intorno al 1500, il rossese bianco viene gradualmente abbandonato a causa della sua difficoltà di vinificazione. Un monumento nazionale come la dottoressa Schneider è giunta però alla probabile conclusione che il rossese delle Cinque Terre derivasse da un vitigno di provenienza levantina (propendiamo per il ruzzese), mentre il rossese di Soldano e San Biagio della Cima sembra discendere da un omonimo ma non parente… Rossese bianco.
Un ultimo insegnamento lo dovremmo assorbire da Plinio il Vecchio, che nei primi decenni del calendario attuale elencava i luoghi (sarebbe meglio dire terroir?) dove venivano prodotti i vini migliori, ma non parlava certo di vitigni. Sottolineava i nettari di Luni ma di Vermentino non se ne sentiva parlare, indicava la zona di Alba ma nessuna menzione su Nebbioli, ovviamente.
Del Rossese bianco confonde anche il nome, così come Novi Ligure non fa pensare di essere in Piemonte. È difficile immaginare che l’etimologia del nostro grappolo non derivi dal colore vermiglio ma bensì da rocce, evoluto poi in Roccese e quindi Rossese.
Alessandro Anfosso, il signore del Rossese Bianco
Siamo a Soldano nel vigneto Pini di Alessandro Anfosso, collina mitica della valle del Verbone: magnifiche esposizioni Sud Est su terreni scoscesi, ovviamente terrazzati, composti principalmente da Flysch, una roccia sedimentaria stratificata in cui godono sprofondare le radici delle nostre piantine. Curioso pensare che li nome Flysch sia una derivazione dialettale della Svizzera Tedesca che significa “china scivolosa”. In Liguria siamo da meno? Assolutamente no! In dialetto Ligure questa conformazione rocciosa si chiama “Sgrutto”. Un nome, un programma.
Da quanto esistono questi terrazzamenti? La documentazione cartacea data il vigneto precisamente:1888. Lo stesso anno nel quale il Brasile abolisce la schiavitù, viene brevettato il grammofono e venivano fondate la Kodak e la Spumador, quella della spuma Bionda!
Però le pietre dei muretti, che ritengo più precise, hanno inciso date che risalgono almeno ad un secolo prima. Ultima carta da mettere sul tavolo per fare asso pigliatutto? Le piante non sono state attaccate dalla filossera, e le più antiche hanno il piede Franco. Si tratta di una vera e propria immunità: da queste parti il ragnetto rosso che arrivò dall’America e fece strage di vigneti ha imperversato alla grande, devastando un territorio, ma il Rossese Bianco… niente, non se ne è nemmeno accorto.
Il vitigno in zona lo hanno in pochi e comunque nessuno lo propone in purezza, l’unica etichetta è l’Antea di Tenuta Anfosso. Un prodotto che vinifica da sempre, ma da un lustro il vino è cambiato. Alessandro infatti aveva intenzione di riproporre gli stessi gusti e sensazioni ricordate nelle bottiglie assaggiate negli anni ’70 e ’80. Ha quindi dato una svolta “antica” alla vinificazione, riproponendo tecniche percepite come vetuste: fermentazione con bucce comprensive di una parte dei raspi, affinamento in tonneau ed uscita sul mercato dopo circa 18 mesi dalla vendemmia.
Il risultato? Un ligure da invecchiamento con sentori floreali ed erbacei intensi con ricordi di fieno ed erbe aromatiche. Il colore è dorato, ma non assimilabile assolutamente ad un Orange Wine. Con un poco di riposo in cantina le sensazioni tendono alla resina con una balsamicità ampia e profonda. Il suo contatto con le bucce conferisce a questo nettare una percezione appena tannica, non astringente ma sicuramente calda che agevola, anzi induce, a una beva inaspettata e leggiadra per un vino di tale energia.
Vi ho messo curiosità, vero?