C’erano una volta pochissimi gin. Venivano tutti dalla terra d’Albione, con la loro dicitura in etichetta “London Dry Gin”. C’era una volta, e oggi non è più così. In pochissimi anni la bottigliera dei bar – non solo quelli che fanno ricerca, ma probabilmente anche la latteria sotto casa se non gli scaffali della grande distribuzione – si è affollata di nuovi marchi. Una vera e propria gin – mania che ha avuto nella Spagna (e nella loro passione per il Gin Tonic) la miccia e nell’Hendrick’s la prima etichetta a fare la rivoluzione. Oggi sono tantissime le produzioni italiane, in un’esibizione di botaniche e ingredienti sempre più particolari, che molto spesso cercano di titillare la leva della territorialità .
Guida ai gin liguri
Camügin. Arriva da Camogli questo gin creato da nel 2020 da Umberto Revello (suo nonno Giacomo Revello inventò gli originali Camogliesi al Rum), aggiungendo al gin sale marino ed erbe dei colli liguri: timo, maggiorana e rosmarino. Quattro botaniche (più il ginepro) per un prodotto equilibrato e molto versatile.
Gin Gino. È il capostipite, il primo gin ligure, prodotto da Origine Green Spirits, distilleria di Cengio (SV). Un gin biologico che nasce da un infusione a freddo e la successiva distillazione sottovuoto di cinque botaniche (ginepro, liquirizia, rosa damascena, salvia, limone). È un gin molto pulito e diritto, non prorompente ma assai versatile in miscelazione. E dall’ottimo rapporto qualità /prezzo.
Gin Ginuensis. Si viaggia verso le rotte delle spezie con questo gin genovese che ha tra le sue peculiarità le foglie di lime kaffir, ma anche arancia, liquirizia e cumino. Curiosità : l’etichetta è stata creata a mano da Luca Luca Barcellona, calligrafo di fama internazionale. Categoria Cold Compound.
Gin La Mezzadria. Azienda di Deiva Marina che produce due gin: TALIA (prosperità ), un gin classico preparato con botaniche erbacee cresciute e coltivate nel territorio ligure e AGLAIA (Splendore), decisamente più agrumato e dagli spiccati sentori marini.
Gin Legend. Gin genovese dalla storia molto recente (è nato nell’infausta primavera 2020), per volontà di quattro amici. Quattro le botaniche presenti: oltre il ginepro, la più caratterizzante è la menta di Pancaliera. Categoria: Dry Gin italiano.
Gin Mä. Poteva mancare in Liguria un gin al basilico? Certo che no. A produrlo con Basilico Genovese DOP è la Compagnia di San Giorgio. E per valorizzare la freschezza aromatica del basilico, in questo gin troviamo solo due botaniche: basilico, appunto, e ginepro.
Portofino Dry Gin. Tutto omaggia il borgo di Portofino. Dal design dell’etichetta, ai 21 ingredienti utilizzati, molti dei quali coltivati o raccolte a mano sul monte di Portofino. Ogni botanica, tra cui ginepro, limone, lavanda, rosmarino, iris, maggiorana, salvia, viene distillata separatamente, per poi essere miscelata insieme alle altre. Agrumato, floreale, piacevolmente speziato.
“U Spessià ” Gin. Andrea Bruzzone, produttore di vino e di liquori e distillati con l’Opificio Clandestino degli In-Fusi, firma questo gin che celebra nel nome la figura del farmacista che, un tempo, ricercava tra decine di piante le cure adatte per ogni malattia.
Taggiasco ExtraVirgin. Un gin molto particolare che, come suggerisce il nome, ha tra gli ingredienti le olive Taggiasche. Nasce da un’intuizione di Paolo Boeri (Olio Roi) e Davide Pinto, titolare di diversi locali di successo a Torino. Alla balsamicità del ginepro e la dolcezza dell’olive si aggiungono altre botaniche, tra cui il pepe rosa, che fa capolino sul finale del sorso. Categoria Distilled Gin.
969 Gin È un distilled a 40 gradi. Poche botaniche, sei, tra cui spiccano arancia amara, liquirizia e una nota di alghe marine per richiamare la iodatura della città . Prodotto dai ragazzi del Gradisca Cafè, il “suo obiettivo è di riportare il gin a quello che era prima che iniziasse a gonfiarsi la bolla dei gin tonic”.
Gin: i metodi produttivi
Le tecniche di produzione di un gin possono essere molto diverse. Senza entrare in particolari sofismi, possiamo individuarne tre. I London Dry Gin sono frutto di un’unica distillazione nella quale sono presenti tutte le botaniche (a partire dal ginepro, ovviamente) che caratterizzano il prodotto. Nessuna botanica può essere aggiunta successivamente. Nel caso di un Distilled Gin, invece, botaniche e aromatizzazioni possono essere aggiunte anche dopo la distillazione, per dare una firma peculiare al prodotto.
Il terzo sistema produttivo è a freddo e non prevede una distillazione. Si chiama Cold Compound e comporta la miscelazione a freddo in alcol cerealicolo neutro dei botanici tipici del gin. Una tecnica usata ancora oggi e che ha preso il via in epoca proibizionista, quando c’era l’usanza di produrre gin illegalmente procedendo alla macerazione addirittura in vasche da bagno (da qui il nome di Bathtub gin).
Gin: le tipologie
Su alcuni scaffali potremo incontrare il Jenever, che è un po’ il papà del gin: un distillato che arriva dall’Olanda nato nel XVII dopo che Franciscus Sylvius de Bouve, farmacista olandese, creò un prodotto a base di olio essenziale di ginepro e alcol di grano per ottenere un diuretico a basso costo. Il suo sapore è molto diverso dal gin, meno balsamico e netto, indirizzato verso note addolcite di granaglia (all’olfatto ricorda più un whisky giovane).
L’Old Tom Gin è il punto di incontro tra il London Dry e il Jenever, essendo più dolce (è possibile un’aggiunta di zucchero) e a base di diversi cereali. Il navy strenght è un gin a gradazione piena, imbarcato un tempo sulle navi della marina militare britannica. Il Plymouth Gin è invece una denominazione geografica che indica la produzione nella piccola, omonima cittadina, dove oggi esiste una sola distilleria (la storica Black Friars, attiva dal 1793). Infine, esiste lo sloe gin, un liquore molto apprezzato dagli inglesi, ottenuto dall’infusione in gin di bacche di prugnolo selvatico.