“La goccia che ha fatto traboccare il vaso”. È questa la Peste Suina Africana per Stefano Chellini, presidente della Cooperativa Agricola Monte di Capenardo nel comune di Davagna, alle spalle di Genova. Dentro il vaso, già due anni di difficoltà dovuti alla pandemia da Covid. Ora la Peste Suina, che in poche settimane ha reso necessario (tramite un’ordinanza di Regione Liguria) l’abbattimento di tutti i suini allevati allo stato brado o semibrado nei 36 comuni liguri coinvolti dall’emergenza.
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Da qui lo sfogo e il momento di riflessione su Facebook da parte della Cooperativa Agricola Monte Capenardo, che alleva bovini (dal 1983) e maiali (dal 2016) allo stato brado le cui carni biologiche, fresche e trasformate, riforniscono anche la macelleria di proprietà a Genova (in via Macelli di Soziglia, 44) e il vicino agri-bistrot, inaugurato lo scorso autunno. E proprio di Peste Suina Africana in Liguria abbiamo parlato con Stefano Chellini.
“Da un punto di vista generale, è fuori da ogni dubbio come la peste suina africana sia una malattia infettiva molto grave per i suini. E quando scoppiano tali malattie virali, è importante innanzitutto cercare di limitare il più possibile il contagio ad aree ristrette. Pensiamo dunque che l’intervento tempestivo sia la prima azione da fare. Per quanto riguarda gli abbattimenti, abbiamo sposato la linea dettata da Regione Liguria appena l’epidemia è scoppiata, quando ancora il contagio riguardava piccole aree della regione nella provincia di Alessandria, Genova e Savona. In queste aree, l’allevamento suino è largamente residuale e i capi sono pochi, dunque l’intervento poteva essere in qualche modo indolore.
Ma va riconosciuto: per i singoli è comunque un danno enorme. Per evitare che la peste suina si diffondesse in zone dove l’allevamento biologico allo stato brado di maiali è più importante e numeroso, come nell’appennino piemontese, emiliano e tostano, abbiamo pensato che l’abbattimento dei maiali potesse essere una misura utile seppur drastica. Questo perché, oltre al discorso sanitario, su questa tipologia di malattia si innestano poi problematiche normative legate all’export che impongono (nel caso del passaggio del virus dai cinghiali ai maiali) il blocco dell’esportazione dei prodotti italiani con un danno enorme per il sistema: ricordiamo che la suinicoltura e la produzione dei salumi in Italia sono attività che fatturano miliardi di euro ogni anno”.
Le problematiche correlate alla gestione di questa emergenza sono tante, come sottolinea Chellini: “Basti pensare che in questa situazione emergenziale il Piemonte nella sua delibera ha previsto una deroga per gli allevamenti nei capannoni, creando di fatto una disparità tra allevamenti etici e sostenibili e allevamenti industriali. E poi c’è la questione ristori e le indicazioni per gli allevatori locali: a oltre una settimana dall’uscita dell’ordinanza di Regione Liguria noi non abbiamo ancora ricevuto alcuna comunicazione ufficiale su come muoverci. Abbiamo letto l’ordinanza che impone la programmazione delle macellazioni entro 30 giorni ma di fatto ancora non abbiamo ricevuto alcun tipo di istruzione operativa.
Perché il problema adesso è l’assenza di macelli dove portare i maiali, laddove la macellazione appare essere la sola alternativa. In questo senso, stiamo subendo un danno enorme alla nostra realtà: abbiamo un’ordinanza che ci obbliga a macellare i nostri 73 maiali ma lo scorrere dei giorni ci impedisce di programmare in modo economicamente valido questa azione. Con buona probabilità, per anni non potremo poi riaprire il nostro allevamento di maiali allo stato brado. Negli anni la Cooperativa Agricola Monte di Capenardo ha fatto grandi investimenti per la produzione di salumi certificati biologici e per la vendita diretta e la somministrazione nel nostro Agri-Bistrot: ora ci troviamo con una filiera totalmente danneggiata”.
I problemi sussistono anche quando si parla di ristori e aiuti economici agli allevatori liguri: “In questi giorni stanno circolando notizie che parlano di ristori minimi, al limite dell’offensivo, per la tipologia di prodotti che abbiamo noi e altre aziende importanti. Questo ci preoccupa. Proprio noi che negli anni abbiamo scelto di avere allevamenti etici, ecosostenibili, certificati biologici e animali allevati allo stato brado ci troviamo a essere i più penalizzati. È importante che il Ministero, le Regioni e il sistema si facciano carico di questi problemi, perché le aziende che in questo periodo si stanno sacrificando macellando i loro suini (volenti o nolenti) devono essere sostenute. Anche sotto l’aspetto della riconversione: ok chiudere il nostro settore dedicato ai maiali, ma dobbiamo ricevere aiuti per convertire questa tipologia di produzione e mantenere il livello occupazionale dell’azienda“.
La Peste Suina Africana, e le problematiche connesse, è solo l’ultima goccia ad aver fatto traboccare il vaso dopo l’avvento del Covid in Italia. Poteva però essere fatto qualcosa per svuotare gradualmente il vaso prima che questo traboccasse? “Qualcosa si poteva fare o evitare. In primis la chiusura dei piccoli mattatoi, negli anni sempre più evidente, ha completamente privato il territorio di infrastrutture legate all’allevamento. Inoltre vi sono molte altre problematiche, molte legate a come in questi anni sono stati ripartiti i fondi comunitari: questi, come è immaginabile, sono sempre andati a vantaggio delle grandi aziende di pianura. Anche perché noi, in montagna, dobbiamo fare i conti con il problema fondiario: molte aziende di montagna conducono terreni senza avere un titolo di possesso e per questo è stata strutturata una legge per le terre incolte che tuttavia a oggi è inefficace e dovrebbe essere riformata. Infine sottolineiamo l’eccesso di carico burocratico, in questi ultimi anni divenuto insostenibile”.
Rimane (anzi, urge sottolineare) l’importanza di far rete fra realtà locali, di dialogare e confrontarsi con le istituzioni su queste tematiche: “In questo momento abbiamo costituito una rete di emergenza insieme a tante realtà come noi (cito ad esempio la Cooperativa Valli Unite) per cercare di confrontarci e cercare soluzioni insieme. Fare rete è importantissimo, perché una volta usciti dall’emergenza è importante fare una riforma seria del settore agricolo, soprattutto per le zone di montagna. Tale riforma deve avvenire con la partecipazione di noi aziende e con idee provenienti dal basso. Se le idee arrivano solo dall’alto, non potranno adattarsi a tutte le realtà locali. Cominciamo da ora a pensare al futuro e alla riconversione delle aziende liguri del settore suinicolo”.