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giovedì, 10, Ottobre, 2024
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Italia Furlan: riciclo artigianale prêt à porter

Siamo in uno dei borghi più belli d’Italia nella provincia di Savona, a Finalborgo, ricco – come molti altri piccoli centri del Ponente (come Celle Ligure con Arbanella Art) -di botteghe artigiane, dove pullulano creatività e visioni fantastiche, antiche tradizioni e nuove sfide.

Qualche anno fa le botteghe di Finalborgo hanno creato l’associazione Fatto a Mano, riconoscibile dal marchio apposto accanto alle vetrine, con l’intento di valorizzare la loro arte e fare in modo che gli antichi mestieri non vengano dimenticati.
Oltre ad organizzare laboratori e corsi, all’interno di una bottega vuota ospitano anche artisti provenienti da posti lontani.
Questo offre l’opportunità ai visitatori di scoprire tecniche e lavorazioni tipiche di altri luoghi o l’utilizzo di materiali insoliti per la realizzazione di opere d’arte e al tempo stesso (com’è già successo) permettono a nuovi artigiani di popolare il borgo trasferendosi in pianta stabile con la loro attività.

Ho deciso di incontrare una giovine donzella che ormai da più di un decennio ha deciso di indirizzare le sue maestrie verso il mondo della moda e del riciclo, dunque conosciamo Italia Furlan con il suo laboratorio Arti.ficio.

Cara Italia, quante volte al giorno ti senti nominare? Soffri di acufene? Un nome così importante non deve essere mica facile portarlo… e soprattutto, qual è il tuo soprannome?
In realtà il mio nome mi piace e non ho difficoltà a portarlo, di solito mi chiamano Ita o anche Italia, ma devi sapere che mi chiamo così perché così si chiamava una mia bisnonna e di conseguenza l’altra -per gelosia- da piccina mi ha sempre chiamata Lia, così per partito preso.

Forse non voglio sapere come si chiamava l’altra…
Bene, io ho conosciuto il tuo laboratorio Arti.ficio tramite i social, devo dire nel Ponente Ligure siete un covo di artigiani pazzeschi. Raccontami un po’ come ti è venuto in mente di dedicarti a questa particolare attività, lo sapevi fin da piccola?
In effetti sì, ho deciso che avrei fatto l’artigiana all’età di 4 anni.
A 8 anni ho intrapreso il mio primo corso di cucito da due “sarte finite” che mi fecero scuola dalla A alla Z, imparando prima le basi ovviamente e poi sempre di più fino a poter realizzare intorno agli 11 anni il mio primo abito.
Fu divertente perché ignara delle difficoltà scelsi un abito a balze e non contenta, quando andai al mercato insieme a mia madre per acquistare la stoffa per realizzarlo, scelsi la seta.
Quanto di più inadatto potesse esserci.
Le mie insegnanti, però, non mi dissero di lasciar perdere, anzi mi incoraggiarono ad andare avanti e dopo (solo) due anni lo terminai!
Peccato che nel frattempo ero cresciuta e così non riuscii mai a metterlo, da anni è lì in una teca tipo cimelio.

A volte il tempismo è tutto.
Hai quindi un negozio in uno dei borghi più belli d’Italia (vedi che è un attimo chiamarti…) che immagino sia ormai diventato meta turistica molto ambita!
Gli stranieri come percepiscono il tema ecologico applicato alla moda?
Devo dire che con gli stranieri l’approccio è stato più semplice, calcola che io ho aperto il mio laboratorio 15 anni fa e all’inizio venivo vista proprio come una che faceva cose strane, non ero molto capita. Il concetto di riutilizzo, recupero degli scarti e in generale il tema dell’ecologia per noi italiani era ancora molto nuovo, mentre all’estero specialmente in certe zone del Nord Europa c’è sempre stata una sensibilità maggiore a questi temi, perciò con il turista che veniva in negozio non era difficile dover spiegare l’origine e il senso delle mie creazioni.
Con i locals c’è voluto un po’ di più, dovevo proprio spiegargli che non andavo a rovistare nella “rumenta” (cioè a volte sì, ma…) e come per tutte le cose nuove ci vuole tempo per comprendere ed abituarsi. Devo dire che ormai ho una clientela affezionata anche local!

La chiave del tuo successo è stata saper ridare vita agli scarti, in quello che normalmente noi butteremmo tu vedi qualcosa di nuovo, vedi i rifiuti come risorse. Quindi ci vuoi tutti accumulatori seriali? Il tuo consiglio è di non buttare niente che non si sa mai?
Anche mia suocera lo dice.
Dì a tua suocera di portarmi un po’ di roba, vedrai che qualcosa tiriamo fuori…
No assolutamente io nemmeno accumulo, perché in effetti riutilizzo subito quello che tengo.
Il mio messaggio non è semplicemente “non buttare” ma entrare nell’ottica della circolarità: il mio è artigianato circolare perché cerco davvero di utilizzare il più possibile prodotti di scarto che provengono da altro, non solo di sperimentare con materiali particolari che certamente è la parte divertente, ma proprio di ottimizzare il più possibile.
Applicare un’impronta ecologica significa per me creare un vestito o qualsiasi altro articolo, acquistando il meno possibile e riutilizzando qualcosa che già c’è.
Ad esempio mi è capitato di usare le fettucce con cui si chiudono i bancali, fondi di candele, cartoni delle uova…e magari invece di comprare decine di rocchetti di filo, usare la colla di farina (che non è besciamella, è colla ndr).
Ho anche all’attivo diverse collaborazioni per esempio con le isole ecologiche e lo so che ora tutti penseranno “ah quindi fai i vestiti con la rumenta” …ebbene molto spesso nella “rumenta” si nascondono preziose potenziali opere d’arte.

Risparmio, creatività e ambiente potrei dire che sono i caratteri distintivi delle tue opere, ma quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Beh sicuramente il mio obiettivo a lungo termine è mantenere la mia etica costante nel tempo. Ho tanti progetti diversi all’attivo, collaboro con scuole, faccio corsi e sicuramente mi piacerebbe ampliare questo lato formativo dell’artigianato.
Un’altra cosa che vorrei fare, ma per questa ci vorrà un po’ più di tempo, visto che abito nel bosco, è creare un laboratorio qui nel bosco, realizzato ovviamente solo con materiali riciclati.

Un’altra eremita come me, benvenuta.
Vengo alle domande di rito per YLP, che come sai parla di giovani di Liguria e quindi ti chiedo: ti senti legata al tuo territorio? Hai mai pensato di andare a vivere altrove o sei sempre stata innamorata del tuo paese?
Forse non lo abbiamo ancora detto, ma… io non sono nata qui.
Vivo in Liguria da 25 anni quindi mi ritengo decisamente ligure e ho scelto di rimanerci perché è una regione che mi piace, vado persino d’accordo con tutti, non ho avuto problemi con l’accoglienza anche se c’è questo luogo comune…cioè io ci sto proprio bene.
Poi ovvio, ho pensato qualche volta di trasferirmi all’estero come credo facciano in molti specialmente quando si è giovani, quando ti accorgi che tante cose altrove potrebbero essere più invitanti. Però la Liguria mi ha adottata tanti anni fa e io ormai mi sento parte di questo territorio.

Te lo dico hai rischiato proprio grosso.
Allora attenta bene all’ultima domanda perché con questa ti giochi l’attestato di Ligure definitiva: se dovessi descrivere la Liguria in tre parole, quali sarebbero e perché?
COLORE, perché mi piace tantissimo vedere come cambia il paesaggio in poco spazio e di conseguenza il blu del mare vicino al verde della collina vicino ai colori dei borghi saraceni…

CECI, perché adoro tutti i piatti tipici a base di questo legume spesso poco considerato, farinata, panissa, ceci in zimino!

Questa è strana mi rendo conto, L’ODORE DELLE VELELLE SPIAGGIATE.

Che in altri termini significa puzza di pesce marcio. Brava hai superato la prova.

Beatrice Tarizzo
Beatrice Tarizzo
Bea, sui social bibibonza, ho un gatto sulla clavicola ed un mortaio sul braccio. Dopo anni passati (a mangiare) in giro per l’Italia ho deciso di tornare alla terrà natìa per la nostalgia di focaccia, acciughe e scirocco. La liguritudine è diventato il mio stile di vita e ne ho fatto un lavoro.

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