La Marpea al Fior di latte non è semplicemente una azienda agricola. È una dichiarazione d’amore, uno stile di vita, una visione di famiglia. Abbiamo fatto una lunga e interessante chiacchierata con Silvy Garibaldi, giovane allevatrice e produttrice di formaggi della Val Graveglia, di cui sicuramente sentiremo molto parlare nel prossimo futuro, che ci ha raccontato da dove viene, come è nata la sua azienda e quali sono le sue produzioni più interessanti.
La storia di Silvy Garibaldi ha radici lontane, lei è giovane (40 anni), in campagna ci è nata, ci è cresciuta e volentieri – con tenacia – ci è rimasta. Si è formata nell’azienda agricola di famiglia, dove si allevavano bestie per l’ingrasso, suini e bovini. La sua formazione è iniziata fin da bambina, quando ha cominciato a controllare gli animali nelle stalle e da lì ha iniziato a comprenderli, a entrare in sintonia con loro, soprattutto con i bovini.
“Ho sempre avuto un bellissimo rapporto con questi animali, e nei tanti anni in cui li ho accuditi ho imparato moltissimo, direttamente da loro – ci racconta -. Oggi le mie mucche sono per me le mie bimbe e proprio così le chiamo. I momenti più appaganti sono quando le porto al pascolo sulle nostre montagne”.
Silvy ha appreso l’amore per il territorio e per gli animali dai suoi nonni. “Mi hanno saputo trasmettere il vero valore di un animale. Loro hanno passato la guerra e non avevano niente, davano un grandissimo valore ai loro animali e a quello che questi animali potevano dare loro. Io questa cosa l’ho appresa e compresa molto bene, l’ho fatta mia ed è il concetto cardine del mio stile di allevamento”.
Allevamento all’aperto, un toro tra le mucche
Nella zona di Silvy, come un po’ ovunque fino a pochi anni fa, per molto tempo nessuno ha allevato gli animali all’aperto. Lei è stata all’avanguardia in questo e per questo anche criticata. “Una volta si pensava che tenendo gli animali barricati in stalla si facesse il loro bene, che non si ammalassero, mentre oggi la concezione di benessere animale si è totalmente ribaltata.” ci racconta “Non riuscivo davvero a capire come fosse meglio per gli animali stare in stalla piuttosto che al pascolo, così dopo diversi anni nell’azienda di famiglia, nel 2016 ho avviato una attività tutta mia, dove ho sperimentato le mie intuizioni. Devo dire con grande soddisfazione che è andato tutto bene, ma quando ho iniziato ad aprire le stalle non ci dormivo la notte per la paura di sbagliare. Col tempo, ho visto gli animali allevati all’aperto ammalarsi molto meno, non aver bisogno di somministrazioni di antibiotici e ho capito di aver intrapreso la strada giusta”.
Un’altra intuizione di Silvy è stata quella di inserire un toro tra le sue bimbe. “Prima veniva il veterinario ma spesso la fecondazione non andava a buon fine e le mucche avevano problemi, così ho preso un toro per fare in modo che le cose avvenissero in maniera più naturale possibile secondo il ciclo fisiologico dell’animale. Una mucca infatti dopo circa 60 giorni dal parto è già feconda. Da quando ho inserito il toro non ho più mancato una gravidanza, gli animali stanno benissimo, dopo 60 giorni sono tutte di nuovo gravide e non c’è più stato alcun problema, nemmeno una mastite”.
La vita di Silvy non è però una vita semplice. Le difficoltà sono tante, la fatica anche, e lei sta portando avanti tutto da sola: alleva, vende, fa il mercato, tratta i suoi prodotti, porta le bestie al pascolo, fa i formaggi e li promuove. Ci vuole davvero molta tenacia e passione per il proprio lavoro.
Il formaggio del Minatore
Le produzioni di Silvy sono latte e latticini (yogurt, ricotte), formaggi, un po’ di carne che va in base agli animali che ha secondo le gravidanze delle mucche.
“Per quanto riguarda i formaggi sono partita dalla caciotta come la faceva mia nonna senza fermenti ma solo con latte e caglio. Ho fatto una lunga fase da autodidatta e due anni fa sono riuscita finalmente a fare un corso di produzione di formaggi, dove ho imparato moltissimo e ho conosciuto persone che mi hanno molto aiutata in questo percorso”. Dopo il corso Silvy si è trovata con persone che parlavano la sua stessa lingua, “nel mio territorio sono considerata un po’ una pazza, ho avuto però un sacco di soddisfazioni grazie alla mia “pazzia””.
Una volta presa più confidenza con la caseificazione Silvy voleva produrre un formaggio dalla forte personalità, un formaggio che parlasse di lei, delle sue origini, dei suoi nonni che le hanno trasmesso la conoscenza e la grande passione per il suo territorio.
“Noi abbiamo la miniera, in miniera ci hanno lavorato i miei nonni, è stata l’unica fonte di lavoro per la zona nel secondo dopoguerra. Mi sono detta: faccio un formaggio come dico io, legato alla mia idea di allevamento, produzione e lo porto ad affinare in miniera, uno dei luoghi più significativi della storia di questo territorio e della mia famiglia”. Così ha fatto ed è nato il Minatore.
Il Minatore è una toma semicotta, di grossa dimensione, intorno ai 14 kg. Fa 10-15 giorni a casa, il tempo che faccia la pellicina e poi va in affinamento in miniera. Siccome al suo interno in determinati periodi dell’anno non si può entrare a girare i formaggi, le forme vengono messe in una rete da mortadella e appese, in modo che prendano sempre aria. Le prime forme hanno fatto 6 mesi di affinamento, ma l’idea è quella di portare l’affinamento anche fino a 8 mesi.
Il risultato è un formaggio molto particolare, soprattutto se pensiamo che è prodotto in Liguria, dove la tradizione casearia è piuttosto frammentata e poco incisiva. Un prodotto di grandissimo carattere e dal sapore intenso, dove predominano, neanche a dirlo, le note minerali.
A maggio 2021 ha creato un altro formaggio molto interessante, all’opposto del Minatore: è infatti un formaggio molto delicato che viene affinato nei petali e nello sciroppo di rosa, altro prodotto tipico della zona e della Liguria in generale. “L’ho dedicato a mia nonna, chiamandolo come lei, Mariuccia”.
Con i suoi formaggi Silvy ha intrapreso una strada definita. Ogni formaggio deve avere una sua identità, una storia particolare, specifiche caratteristiche organolettiche. Così è anche una storia di riscatto, di distinzione. “Al nostro latte do un grandissimo valore, non lo venderei mai a 38 cent al litro. È per questo che ho deciso di produrre da sola i miei formaggi, per dare valore al mio lavoro e a quello dei miei animali”.
La Marpea al fior di latte
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