Focaccia di San Giorgio, l’avete mai sentita? Probabilmente no, perché è stata presentata oggi (anche se in rete l’idea circola già dai tempi del lockdown). La ricetta è semplice: alla base di una (buona) focaccia genovese vanno aggiunte le patate tagliate a fette sottili, la prescinsêua, le acciughe sott’olio, le olive taggiasche sgocciolate e per finire, una spolverata di origano, con l’intento di racchiudere in un solo prodotto i migliori sapori della regione.
L’obiettivo, secondo il suo ideatore Umberto Curti – direttore scientifico di Genova World, esperto di marketing turistico e autore della piattaforma Ligucibario (da cui è tratta la foto di apertura) – è di promuovere Genova capitale della gastronomia mediterranea “attraverso una focaccia che sia il brand identificativo di una città da conoscere, da gustare, con cui interagire. La ricetta è a disposizione di chiunque la voglia utilizzare, che può produrla semplicemente firmando un protocollo d’intesa con Genova World” in un progetto sostenuto dal Comune di Genova e dalla Regione Liguria. Così come ha fatto Coop Liguria, che dalle prossime settimane la proporrà nei suoi punti vendita.
È un progetto di identità gastronomica, dunque, che va a braccetto con il marketing territoriale. Ma che ci lascia tiepidi, a noi di Basilico.it, se non del tutto freddi. Perché al di là della bontà (o meno) del nuovo prodotto, ci spiazza il tentativo di costruire a tavolino il simbolo gastronomico di una città o una regione. I simboli gastronomici esistono (e la focaccia, nella sua semplicità, lo è già, insieme ad altri, il pesto su tutti) ma a decretarli tali non è il vezzo o il guizzo di qualcuno, ma la frequenza sulle “tavole del popolo”, che li fa propri, famigliari, quotidiani. È un riconoscimento dal basso, mai dall’alto. Perché al contrario, sono operazioni di raro successo, e che di fatto non sono nemmeno un buon esempio di marketing turistico.