Campiglia è un piccolo borgo a 404 metri sul livello del mare, raggiungibile da una deviazione sulla strada napoleonica che da La Spezia conduce a Portovenere.
Scrive il pittore Carlo Caselli: “Lasciata la rupe di Porto Venere, e volti verso Genova, dopo i Tramonti di Campiglia e di Biassa, tra i promontori di Montenegro e del Mesco, il mar Ligustico si inarca in ampio seno, coronato di poggi e gradinate fecondi di vigneti”.
Sono i terrazzamenti delle Cinque Terre, delimitati dai celebrati muretti a secco. In questi terrazzamenti, abbandonati e incolti da anni, cresce spontaneo il fiore Crocus Sativus, dai cui stigmi si ottiene lo zafferano. Originario dell’isola di Creta, lo zafferano era una spezie già conosciuta nell’antichità: utilizzato dai greci e dai romani non solo come tintura per i tessuti (già gli antichi egizi lo usavano per tingere le bende delle mummie), ma anche come afrodisiaco caro al dio Ermes e ingrediente di cucina, anche per aromatizzare il vino. Compare per la prima volta in antichi testi botanici assiri del VII secolo a.C. sotto il regno di Sardanapalo.
È una spezie costosissima: per realizzare 1 kg di zafferano (che può costare fino a 25.000 euro, se di buona qualità) occorrono oltre 150.000 fiori, raccolti all’alba, di solito tra ottobre e novembre, i cui stigmi, lasciati a seccare al sole, perdono oltre i 4 quinti del loro peso.
Reintrodotto nella Spagna occupata dagli arabi, questi emisero leggi ferree per impedirne l’esportazione e lo zafferano giunse in Italia trafugato da monaci, e la sua produzione si diffuse nella provincia dell’Aquila e in Sardegna. Avendone notato la presenza spontanea e conscio del suo valore, l’ingegnere Pierpaolo Bracco decise, per rivitalizzare le finanze del piccolo borgo, di provare a coltivarlo; in questo fu aiutato dall’agronomo Luca Lo Bosco, secondo il quale il terreno, sciolto e molto drenante, era ideale.
Nel 1999 fu fondata l’Associazione Campiglia e furono messi a dimora i primi bulbi di zafferano acquistati sul mercato. Il successo fu immediato: il prodotto ricavato era ottimo, e ne parlarono subito vari articoli sul giornale, tra i quali Gambero Rosso e Repubblica, e nel 2003 lo zafferano di Campiglia fu presentato con interesse al Salone del Gusto, organizzato da Slow Food a Torino.
Certo, è una produzione di nicchia, niente a che vedere con quella iraniana: sulle vette dell’Hindukush, decina di fanciulle, per legge minori di 13 anni e senza aver mai avuto contatti con uomini, raccolgono gli stigmi di questi fiori, ricavando fino a 2,3 quintali di zafferano che vengono trasportati in piccole casse di piombo a dorso di cammello alle aste di Samarcanda e di Istanbul, realizzando il 90% della produzione mondiale.
La piccola produzione di zafferano di Campiglia, che è passata da 600 a 60.000 bulbi, rappresenta una vera attività ecosostenibile, sotto il profilo ambientale, avendo rivitalizzato un piccolo borgo, e dando una nuova vita ai preziosi terrazzamenti da tempo abbandonati, con il ripristino dei muretti a secco di contenimento. I bulbi, costosissimi, non vengono più comperati, ma ricavati per separazione (dopo tre anni circa, dalla loro moltiplicazione naturale) e inoltre, con l’aiuto dell’agronoma Roberta Tonfoni, l’Associazione di Campiglia sta provando la loro moltiplicazione in serra, nell’azienda agricola sperimentale di Pallodola, sia in cassette di legno che in piena terra, con o senza concime.
Lo zafferano di Campiglia è di altissima qualità: non viene “tagliato”, come spesso succede, con stigmi di curcuma o peli di canapa colorata e viene commercializzato in bustine da 0,25 e 0,50 grammi e in piccole ampolle di vetro da 0,5 e 1 grammo.
Sembra poco? In realtà, la dose massima di zafferano che si può assumere è di 1,5 grammi. 10 grammi sono dose abortiva e 20 grammi dose letale… Ma nessuna paura: nelle dosi consigliate, questa spezie trasforma una banale pietanza in un piatto da re!
A Campiglia, da provare la cucina di mare profumata allo zafferano presso il Ristorante la Lampara, un ristorante d’altri tempi, specialmente in estate, quando si può cenare all’aperto, all’ombra di un’ antica pergola a picco sul mare della Liguria.
foto: © www.campiglia.net