“Un ricordo personale, ma comune a molte famiglie dell’epoca: mia nonna – e tutte le donne del luogo – portavano i panettoni fatti in casa a cuocere nel forno del paese. Mia mamma mi raccontava che la sua la mandava dal fornaio a vedere se i pandolci fossero cotti e una volta pronti, ognuno li riportava a casa. Ogni famiglia poneva un segno di riconoscimento sui propri panettoni, un legnetto, qualcosa che li distinguesse per non essere confusi con quelli degli altri. Anche papà Aldo mi raccontava gli stessi episodi … solo che a lui piaceva mangiare il pandolce! Una volta mia nonna materna ne tenne uno per la festa di San Biagio; papà lo trovò, lo scavò lasciando solo la “crosta” e quando mia nonna andò a riprendere il panettone, non era rimasto nulla!”
Questo racconto sottolinea quanto il pandolce fosse – ed è tuttora – parte della storia dolciaria e natalizia genovese. La sua origine risale ai Persiani. All’alba del giorno di Capodanno, il più giovane dei sudditi era solito portare al re un pane dolce di miele e canditi in segno di buon augurio, offerto poi a tutte le persone considerate “degne”.
Tuttavia alcuni ritengono che il pandolce abbia avuto origine dal pane ligure detto pan co-o zebibbo, con l’uva secca. Con il tempo iniziarono gli arricchimenti, apportati da ciascuna famiglia: zucca candita, pinoli, acqua di fiori d’arancio, tutti prodotti derivanti probabilmente dal commercio dei Genovesi con l’Oriente.
Nel ‘500, leggenda vuole che Andrea Doria diede un ulteriore impulso all’evoluzione del pandolce, indicendo tra i pasticceri genovesi un concorso per creare un dolce che si conservasse durante i lunghi viaggi in mare. Da questa operazione nacque la versione alta, che differisce da quella bassa solo per i tempi di lavorazione più lunghi.
Come da tradizione, terminato il pranzo natalizio, era il capofamiglia a tagliare la prima fetta di pandolce, destinata alla madre per l’assaggio; solo successivamente le fette erano servite ai convitati. Una porzione veniva messa da parte per essere mangiata il 3 febbraio in onore di San Biagio, protettore della gola.
Nel 1971 il pandolce genovese venne definito dall’Unione Italiana delle Camere di Commercio quale “tipico prodotto genovese meritevole di denominazione di origine quindi suscettibile di inserimento nella sfera di applicazione della convenzione internazionale di Lisbona”.
La fama del pandolce genovese però non termina qui. Ad oggi, infatti, “u Pandùçe” è molto noto non solo al di fuori dei confini regionali, ma anche di quelli nazionali.
Viene particolarmente apprezzato a Londra, dove è conosciuto come “Genoa cake”; proprio qui, all’inizio del XX secolo, venne creato un pandolce del peso di circa 1360 kg per essere esposto in una vetrina della città. In altri Paesi esteri viene anche chiamato “torta genovese” o “genoise”.
Consigliare una ricetta è davvero difficile. Per il pandolce più che per qualsiasi altro dolce genovese ogni famiglia ha la propria ricetta segreta, tramandata di generazione in generazione e custodita come un vero e proprio tesoro. La regola “universale” alla base di tutte le ricette è l’utilizzo di uvetta e frutta candita di primissima qualità, perché fondamentale nella resa finale del dolce. Per l’acquisto di questi due prodotti le storiche drogherie genovesi sono le migliori.
Pandolce basso: la ricetta
- 250 g farina tipo 1
- 60 g zucchero semolato
- 65 g burro
- 2 tuorli
- 90 g uva passa
- 50 g canditi misti
- 1 cucchiaio aroma di fior d’arancio
- 30 g pinoli
- 6 g lievito per dolci
- 3 g sale
- 1 cucchiaino raso semi di finocchio
- q.b. latte
Preparazione
Iniziare ponendo l’uva passa a bagno in acqua oppure in un bicchierino di grappa o di liquore; utilizzare il burro a temperatura ambiente.
Porre tutti gli ingredienti in una terrina e aggiungere poco latte se l’impasto risultasse troppo consistente. Mescolare impastando fino a quando il composto risulterà amalgamato.
Formare un panetto tondo, schiacciandolo, dell’altezza di 2/3 dita. Sulla sommità incidere due tagli a croce.
Cuocere in forno preriscaldato a 180 °C per circa un’ora.
Porre il dolce sulla griglia del forno fino al completo raffreddamento.
Certamente assaporando questo meraviglioso dolce percepirete la storia di questo alimento e soprattutto quanto incarni e rappresenti il Natale, lo stare insieme e specialmente la famiglia.
“Viva ö Natale
Viva ö vin bon
Viva ö pandôçe
Viva ö toron:
Tùtto lè bön!”
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