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giovedì, 23, Novembre, 2023
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La cena della Vigilia, secondo Baccicin du Caru

Collo di gallo o gallina ripieno. Un assaggio di zraria. Gli immancabili ravioli al tocco. Di secondo, il gallo (o la gallina) ripiena. E per finire la zuncà, magari accompagnata da una confettura o leggermente zuccherata. La cena del 24 dicembre, Vigilia di Natale, secondo Gianni Bruzzone dell’Osteria Baccicin du Caru, è un concentrato di piatti che guardano alla terra e alla tradizioni contadine. D’altronde la sua trattoria si trova al Fado, sopra Mele, lungo la statale del Turchino che collega Liguria e Piemonte. E Gianni interpreta in cucina il suo territorio con filologica passione, proponendo in modo sincero piatti della memoria di cui oggi si fa fatica a conoscerne gusto e aspetto.

Come la zraia, o zeraria, appunto. “È una ricetta tipica della zona di Tiglieto e Alpicella, ma di cui si trova testimonianza anche in altre zone dell’entroterra savonese e imperiese. Si tratta di una sorta di gelatina, realizzata con un mix di carni. Praticamente si fanno bollire alcune parti come il piedino di maiale, la lingua, un pezzettino di muscolo assieme alle verdure. Poi si lascia raffreddare, si sgrassa, e si fa cuocere nuovamente con un po’ di spezie. Nel mio caso, seguo una ricetta recuperata nell’imperiese, che aggiunge un po’ di zafferano nella seconda bollitura. Alla fine, si ottiene una sorta di carne in gelatina che va servita fredda, magari con a fianco alcune foglie di limone, tipica della Vigilia“.

Anche il collo ripieno è un vero classico. “Serve una bestia un po’ grossa, di cortile, come quelle che si tenevano per le feste e che ancora nell’Ottocento i contadini mezzadri avevano come obbligo di donarli ai padroni della casa e del terreno. Il collo era ed è una parte pregiata perché privato dell’osso e tenuta la pelle, si può riempire come una sorta di cima. È buonissimo“.

Come primo, i ravioli sono un classico natalizio. Ovviamente al tocco. “Nella versione che facciamo in zona prestiamo particolare attenzione alla delicatezza della pasta e poi al punto d’equilibrio della maggiorana, che deve sentirsi ma non diventare preponderante. Con pasta delicata invece intendo l’utilizzo di pochissime uova, addirittura anticamente c’è chi non ne usava. Ancora oggi in trattoria prepariamo i ravioli con quattro uova per kg di farina, perché la pasta quasi non deve sentirsi, è il ripieno a essere protagonista”.

Tra i secondi, invece, spazio alla gallina o il gallo bollito. O tutt’al più un castrato o agnello “che qui in zona non mancavano ai contadini, anche se è un piatto tipicamente pasquale“.

Infine, come semplice dolce, un assaggio di zuncà. “Che non è altro che una formaggetta  freschissima, preparata un giorno per quello successivo, al quale non viene aggiunto il sale, tipica della zona di Quiliano ma che si ritrova in altre zone d’entroterra, anche piemontese. Per esempio in Val Pellice, dove un formaggio simile viene aggiunto alle patate per ottenere degli gnocchi strepitosi. Si può servire così, in semplicità, oppure leggermente zuccherata o accompagnata da una confettura“.

Il pandolce, invece, non mancava mai in tavola il 25. “Tradizionalmente preparato nella versione alta, anche se oggi è molto più richiesto quello basso“.

Insomma, piatti contadini, di ingegno e recupero. “Mi ricordo che mio nonno, anche a Natale, voleva che prima a mangiare fossero le bestie, poi noi. E a Natale invitavamo a pranzo, noi come molte altre famiglie, chi in paese era solo o non poteva permettersi un vero pranzo“. Perché Natale non è tanto quel che si mangia, ma con chi lo si condivide.

Alessandro Ricci
Sopra i 40 (anni), attorno ai 100 (kg), 3 figlie da scarrozzare. Si occupa di enogastronomia su carta e web. Genoano all’anagrafe, nel sangue scorrono 7/10 di Liguria, 2/10 di Piemonte e 1/10 di Toscana. Ha nella barbera il suo vino prediletto e come ultima bevuta della vita un Martini Cocktail.

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