Abbiamo assaggiato in anteprima la nuova produzione de Il Genovese, il dolce Caffèlatte e abbiamo ritrovato l’entusiasmo post lockdown che sembrava smarrito per sempre.

Il Caffèllatte de Il Genovese

“Quel gran genio del mio amico” cantava Battisti e mi sento di traslare l’esempio sulla grande idea, l’ennesima a dire il vero, dei fratelli Panizza de Il Genovese. Ma facciamo un passo indietro. Neo residenti della flora e fauna gastronomica dell’antico borgo di BOccadasse, perla marinara e urbana ineguagliabile in Città, gli amici de Il Genovese si sono presentati al grande pubblico redivivo post lockdown con una brillante proposta gastronomica quanto tradizionale. Discostandosi di neanche mezzo centimetro dal loro core business gastronomico che vede nella tradizione dell’ingrediente, della preparazione e riuscita finale il suo tratto distintivo, invadono la battigia con proposte tipicamente da sciamadda. Dai fritti, alle torte salate, dai ripieni “come li faceva la nonna” ai frisceu e alla focaccia appena sfornata che ricorda tanto il diretto dirimpettaio ponentino, la mitica focaccia di Voltri, per dolcezza, stratificazione e scoppiettante salatura. In poche parole: la soluzione ideale per ogni tipo di pranzo veloce in spiaggia, merenda alternativa o  “voglia di qualcosa di buono” da aperitivo. IN poche parole, se sciamadda deriva da fiammata, le antiche sciamadde erano pertanto delle locande dove la ristorazione veloce trovava la sua ragione d’essere nell’attività e produzione da forno: come a dire, lo streetfood lo abbiamo inventato noi. E di nuove tendenze, gastronomia fast che si rifà alla filosofia slow, al mordi e fuggi ma guai se dimentichi la storia, la genuinità e il gusto, il Genovese ne sa parecchio.

Roberto Panizza a Boccadasse

Come quando il buon Roberto Panizza, dopo attenta analisi, si inventò le polpette reintroducendo nel mercato, de factu, l’autoctona razza di mucca cabannina, o quando litigò con un suo chef australiano e venne fuori la cheesecake alla prescinseua o di quando riportò in auge le trippe fritte come entreè ideale che solo al pensiero i puristi della cucina molecolare si scompongono nell’anima…Ma queste sono altre storie. Insomma, da grandi momenti nascono grandi idee. La storia del caffèlatte è anch’essa figlia di un grande momento. Annoiato e preoccupato, come tutti i compulsivi cerebrali sanno essere al momento giusto, il buon Panizza durante il lockdown si è fatto venire l’idea. Confrontandosi con Faith Willinger, punto di riferimento statunitense per l’editoria di settore in Italia, si sono resi entrambi conto che spiegare a parole la quintessenza del piacere, ovvero la focaccia pucciata dentro al caffèlatte , si perdeva tempo. E di tempo non cen’era, l’idea stava già vedendo la luce. Come tutti i figli buoni, g’han que d’ana, hanno voglia di nascere: così Faith, straniera ormai conquistata dalle abitudini locali, diventa madrina del nuovo figlio di Panizza (vedi sopra). Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta: la porzione, abbondante e soddisfacente, torna alla tradizione (anche qui) nell’arbanella o vasetto, tipico delle conserve. Dopodichè, alla vista, nell’immediato, arrivano i tocchetti in superficie: eccola lì, la focaccia. Infatti, ormai convinto della potenza inarrestabile di questa degna sovrana di Genova , il buon Panizza strizza l’occhio al contemporaneo trend di pasticceria, la punta di sale che, all’origine assunse una funzione sgrassante sul palato ma di recente ha ricoperto il ruolo di “mai più senza”. Come un abito vintage che torna di moda, la punta di sale, per i ben educati, significa giocare sugli estremi del dolce/salato mentre per mia nonna, il pizzico di sale nella frolla significava che ne potevi mangiare di più perché stancava meno. Punti di vista che convergono nella stessa direzione: la focaccia nel Caffèlatte del Genovese, si vede, si sente e ci sta. Ma veniamo all’assaggio: il gioco di colori si innesta nello schema dei gusti, quindi la crema di latte assume doppia identità a seconda dello strato. Semplice in purezza per arrotondare la “complessa” in combo con l’arabica che, essendo autentica, sedimenta nel tempo aumentandone il sapore .

i fratelli Sergio e Roberto Panizza

Quindi un gioco di equilibri tra il latte e il caffè, il bianco e il nero, il dolce e la nota aromatica (forte) che resta sulla punta del palato. Come tutte le ricette tradizionali, affina il colpo in divenire: questo è un esperimento, tiene a precisare Panizza ma, acchiappata l’idea, si affinano le sfumature. Sicuramente un dolce adatto agli amanti del caffè e ai più lascivi estimatori del tiramisù che non sentiranno la mancanza del loro beniamino in favore di una soddisfazione sicuramente più leggera in calorie: latte vs mascarpone, savoiardo vs focaccia; non c’è sfida se si appartiene alla stessa famiglia. Detto volgare: nessun mattone, qui si gioca per la gloria. Che sia, infatti, straniero o semplicemente foresto, il dramma, da sempre, per noi liguri è riuscire a far capire la piacevolezza che rimane nell’anima quando intingi la focaccia nel caffèlatte: la consuetudine del gesto che trova il suo sigillo nel gusto. Inutili giri di parole che complicano, fratturano, distolgono l’attenzione: l’empirico Panizza sceglie di sperimentare e vincere, senza tanti giri di frasi fatte e gap papillo-linguistici. Nella semplicità che accompagna il Genovese nei suoi, ormai tanti, anni di carriera nella ristorazione, nella proposta veloce e ammiccante e nell’osare l’impensabile, la regola è diventata la sua arma vincente: partire dalle basi ed evolverne la forma. Magari con “un cacciavite in mano” non fa miracoli ma con la genovesità, si. Cosa ci dobbiamo aspettare ora? Beh, dopo la focaccia nel caffèlatte, il bianchetto di metà mattina ( a detta sua)… ma quello è un affare del 2021 e ci consumeremmo nella sola supposizione della quantità di idee geniali da sfornare. Come l’acqua calda . Come Pippo Baudo. 

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